La scelta di mangiare cibi crudi, oltre a essere talvolta sollecitata da indicazioni, scientificamente poco fondate, circa chissà quali pericoli insiti nei cibi cotti e pretese particolarità protettive di quelli crudi, è diventata oggi anche una moda che coinvolge tante persone, sopratutto giovani.

Può creare problemi? Facciamo innanzitutto una distinzione. Frutta e ortaggi sono elementi che è consigliabile mangiare crudi oppure cotti in modo blando, prevedendo possibilmente il recupero dell’acqua di cottura, per conservare il patrimonio di vitamine e sali minerali e per recuperare quella quota che si scioglie nell’acqua. Alcuni prodotti vegetali, però (come i cereali, le patate e  legumi) diventano commestibili e ben digeribili solo se cotti, perchè il calore modifica e rende più assimilabile l’amido, rompe la parete cellulosica, che circonda le cellule vegetali rendendo i nutrienti accessibili ai nostri enzimi digestivi, libera la vitamina PP nei cerali, distrugge alcuni inibitori delle digestione proteica presenti nei legumi, ecc.

Diverso è il discorso per gli alimenti animali, perchè se è vero che se ne possono digerire molti anche allo stato crudo, è però anche innegabile (e l’uomo primitivo, dopo la scoperta del fuoco, se ne è molto avvantaggiato nel suo processo evolutivo) che la cottura renda la carne più facilmente masticabile e digeribile (coagulando le proteine muscolari e trasformando in gelatina le dure fibre collagene del tessuto connettivo) e inattivi due sostanze presenti nell’albume dell’uovo (una ad azione antidigestiva ed una capace di sequestrare la vitamina H).

Certo, il calore va graduato (base temperatura e tempi di cottura brevi) per minimizzare i possibili effetti negativi sul valore nutritivo dei cibi (parziale perdita di alcuni amminoacidi e di alcune vitamine, segnatamente la C, la B1, i folati e la A) e per evitare formazione di sostanze potenzialmente tossiche, sopratutto a carico dei grassi.

Un altro grande pregio della cottura è quello di rendere i cibi più sicuri dal punto di vista igienico. Non è un caso, infatti, che parallelamente al dilagare della passione per il cibo crudo si siano accentuati casi si tossinfenzione alimentare che la cottura consente, invece, di prevenire. Ci riferiamo ai casi di salmonellosi da uova o carni avicole, alle toxoplasmosi (pericolose per le gestanti e i soggetti immunodepressi) conseguenti al ricorso a carni poco sicure, consumate crude o poco cotte, alle intossicazioni da Salmonella o Escherichia Coli da latte crudo e a quelle da molluschi inquinati da microorganismi e virus, fino al moltiplicarsi di varie parassitosi un tempo tipiche del’area del Pacifico, ma ormai frequenti anche in Occidente, provocata da piatti a base di pesce crudo: eustrogiliasi, distomiasi ma soprattutto la più nota e temuta anisachiasi.  A provocare quest’ultima è un nematode, l’Anisakis simplex. Le sue larve, che possono essere presenti in quasi tutti i pesci e che sono molto diffuse anche nel Mediterraneo, si trovano nei visceri del pesce e, se non vengono distrutte dal calore (da 1 a 10 minuti a temperatura superiori a 60° C) o da un congelamento protratto (-15° C per non meno di 96 ore oppure  -20° C per almeno 24 ore, come previsto dall’attuale normativa europea), migrano verso i muscoli e una volta ingerite dall’uomo, penetrano nelle pareti dello stomaco e dell’intestino provocando forti dolori e lesioni, fino a granulomi, e anche reazioni allergiche. La cottura evita il problema, mentre affumicatura, salatura e marinatura sono inutili. Molto opportuni sono invece immediata eviscerazione del pesce e un suo accurato controllo (le larve sono visibili a occhio nudo).

Come concludere? Concediamoci pure, se ci piace, il consumo di cibi crudi, ma senza esagerare né in frequenza né in quantità e scegliendo con molto spirito critico i ristoranti (anche quelli etnici) più seri ed affidabili.