E’ diffusissima la convinzione che un pasto anche abbondante ma “a base di pesce” sia automaticamente garanzia di un pasto a ridotto apporto calorico.
Si tratta una riflessione “consolatoria” che però non corrisponde pienamente alla realtà.
Al giorno d’oggi, infatti, si è di molto ridotta la differenza fra le calorie fornite da due porzioni simili delle carni dei prodotti della pesca più comunemente consumati e dei tagli più richiesti di quasi tutte le carni di animali terrestri.
Questo perché negli ultimi 30 anni, per andare incontro alle richieste del mercato, gli allevatori sono riusciti a diminuire notevolmente la quantità (e a migliorare la qualità) dei grassi presenti nella carne, sia bovina che avicola e suina.
E sono proprio i grassi presenti a determinare sostanzialmente il maggiore o minore impatto calorico “di base” di un cibo.
Per dare un’idea precisiamo che l’apporto calorico dei prodotti della pesca più comuni oscilla in media, per 100 grammi netti di prodotto fresco, fra le 70 calorie di seppie, merluzzo, calamari e gamberi (60 il polpo) e le 120 circa di cefalo e orata.
Per le carni fresche i valori corrispondenti variano dalle 90 calorie del vitello e le 100 del petto di pollo alle 140 della costata di manzo.
Come si vede, differenze abbastanza ridotte, se rapportate alle porzioni che normalmente si consumano.
Si era accennato ai grassi. Nel pesce fresco – escludendo le poche varietà notoriamente più grasse, come salmone, aringa, sgombro e tonno fresco e includendo anche crostacei e molluschi, che non sono propriamente “pesci” ma vengono comunemente compresi in questa definizione – oscillano (per 100 grammi netti di prodotto crudo) fra circa 1 grammo e circa 6 grammi.
Ebbene, nelle carni “terrestri” il livello medio corrispondente dei tagli più correntemente utilizzati va dai 3 agli 8 grammi circa.
Uno scarto ridotto, insomma, e lo stesso si può dire anche per il contenuto di colesterolo: dai 50 agli 80-90 milligrammi per 100 grammi nelle carni più comuni, e, per i prodotti marini, mediamente da 50 a 70, variando dai 35 mg del salmone ai 150 dei gamberi, e passando (curiosità) per i 65 dei calamari e i 50 delle ostriche, nonostante il loro 86% di acqua…
Discorso diverso per quanto concerne la qualità dei grassi: infatti è solo nei prodotti marini che possiamo trovare quei preziosi acidi grassi omega-3 che il nostro organismo fatica molto a sintetizzare e che quindi dobbiamo introdurre preformati con almeno tre razioni settimanali di alimenti provenienti dall’ambiente acquatico.
Per tornare ai “pasti a base di pesce”, insomma, a fare realmente la differenza saranno il numero e la entità delle portate (ad esempio, evitiamo di sommare un “antipasto di mare”, inevitabilmente accompagnato da tanto pane, ai tradizionali “primo” e “secondo”…) e le dosi di grassi da condimento previste dalle diverse ricette o da noi stessi aggiunte troppo generosamente a tavola.
A questo proposito, non dimentichiamo mai che i fritti assorbono gran parte dei grassi nei quali vengono cotti e che un solo grammo di QUALUNQUE olio ci fornisce ben nove calorie! Da questo punto di vista i tipi di cottura più consigliabili per il pesce sono senz’altro la bollitura e la cottura “al sale”.

